Nel corso dei secoli Angera e tutta la provincia di Varese vengono celebrate da scrittori e ricevono le visite di numerosi personaggi di spicco, da Re Umberto I di Savoia a Giuseppe Verdi, da Amilcare Ponchielli ad Arrigo Boito; in tempi più recenti Giosuè Carducci e Matilde Serao erano ospiti habituè dell’Hotel Excelsior di Varese.
Agli inizi del '900 la coltivazione era ancora intensa. I vigneti ricoprono le colline, i poderi danno uve zuccherine che consentono di produrre vini passiti, lasciando gli acini a maturare sui graticci come avviene in Toscana con il Vinsanto. Non è un caso che oggi venga prodotto un “vino muffato” paragonato addirittura al pregiato “Sauternes” Francese.
Gli anni Cinquanta sono il canto del cigno della viticoltura angerese. Poi il boom economico induce i giovani ad abbandonare la faticosa vita in campagna per cercare lavoro nelle grandi industrie sorte nel territorio. Nonostante la fuga dai campi, Luigi Veronelli cita ne “I vini d’Italia” (1961) il Rosso di Angera, vino vivace di colore rosso rubino che tende con l’invecchiamento al mattone, delicato aroma fruttato, sapore franco e rotondo. Lo definisce vino da pasto consigliando il consumo a temperatura ambiente.
Nel 1994 ha inizio una valutazione di quantità e qualità dei vigneti rimasti. I risultati dimostrano che nel solo comprensorio di Angera, Ispra, Taino esistevano almeno 200 ettari di viti diventati boschi e roveti o insediamenti abitativi.
Con la valorizzazione della qualità della vigna e con un buon marketing è stato possibile, negli anni 2000, arrivare ad una nuova età felice della viticoltura angerese.
Queste nuove circostanze hanno permesso ad un gruppo di vignaioli di intraprendere l’iter burocratico per la richiesta di riconoscimento ufficiale della Indicazione Geografica necessaria, a tutti gli effetti, per poter iniziare nuovamente la produzione e la commercializzazione dei vini del basso Lago Maggiore in provincia di Varese.
Il 21 ottobre 2005 viene ufficialmente concessa la IGT (Indicazione Geografica Tipica) Ronchi Varesini che prende il nome dalla caratteristica coltivazione a terrazzamenti, i ronchi appunto, diffusa nel Varesotto fin dai tempi di Carlo Borromeo.